martedì 11 febbraio 2014

Fui chimico e no, non mi volli sposare || Non sapevo con chi e chi avrei generato

Sentire l'accetta abbattersi sul ceppo fa ancora uno strano effetto: è un suono secco, vibrante, che rimbalza nello stomaco. Non un rumore gradevole, ma il cortile è l'unico luogo pacifico.
In casa c'è il resto della famiglia, tutta la famiglia al completo, tutta intenta in lavori domestici di vario tipo.
"Chi non lavora non mangia" è il motto della madre di Yahn da tantissimo tempo e nessuno l'ha mai messo in discussione.
Le due sorelle sono state impiegate nel lavoro infinito di pelare le patate, che sarebbe una mansione che Yahn non disdegnerebbe, se non fosse considerata prettamente da femmine.
Poi ci sono i due fratelli, presi nella sistemazione dei tavoli, assieme al marito di Favrielle, uno schiavo incredibilmente delicato, per aver lavorato per tanti anni in una segheria. Sembra quasi esistere a riprova che i clichè sui grossi taglialegna sono errati, con quelle sue braccette minute e il fisico esile: una compagnia ben strana accanto a tutti gli altri maschi Fharsen, ben piazzati per costituzione.
Persino Favrielle, crede Yahn, supera in robustezza il marito e, difatti, è lei che strilla contro i tre mocciosi poco vestiti e sporchi che scorazzano per la casa, portando la legna appena tagliata vicino al grande camino.
Yahn starebbe volentieri coi fratelli, ma Auguste ha approfittato di una qualche frase del marito stecchino per lanciarsi in una filippica contro qualche padrone, come sempre. I discorsi politici del mediano della famiglia non gli sono mai piaciuti, per quanto ormai sia abituato ai peggiori turpiloqui da quando è del mestiere.
Un tempo Yahn credeva che il fratello avrebbe condiviso con lui quell'insofferenza strana e fuori luogo per Clackline, che sarebbe stato dalla sua parte quando una frase inopportuna sfuggiva dalle sue labbra e tutti i volti della famiglia lo fissavano con tacito stupore e dissenso, come se fosse un animale da zoo fuori posto. Ma la rabbia adolescenziale di Auguste si è trasformata in un qualcosa di più accettabile per la società, una foga che segue gli schemi, una volontà di parteggiare per il proprio padrone e di accettare di massacrare altri schiavi perchè appartengono ad una famiglia rivale.
In pochi anni, Yahn ha capito che la sua strada si era allontanata di molto da quella del fratello e da allora schiva le sue filippiche.
Rimane solo suo padre, un uomo grosso e taciturno con cui non c'è mai stato un vero dialogo per mancanza di interessi comuni. Ma lui apprezza un buon lavoratore e Yahn lo è, per cui ogni volta che il ragazzo era a casa, si rifugiava nel cortile assieme al padre, ad aiutarlo a spaccare legna, ad aggiustare mobili per i vari padroni che si sono susseguiti, negli anni. Non hanno mai parlato davvero, ma c'è sempre stato un poco di affetto nello sguardo del capofamiglia, un tacito consenso che negli altri membri Yahn non ha mai trovato.
Questa è la sua prima visita da quando se n'è andato, due anni fa, e il giovane non è affatto sorpreso nel trovare tutto esattamente come l'ha lasciato. Sul volto del padre c'è qualche ruga in più, qualche cicatrice fresca gli segna gli arti, cicatrice su cui lui non ha voluto sapere nulla e su cui non gli sono state date spiegazioni.
E' capitato in un giorno di festa e nei giorni di festa gli schiavi non lavorano per nessuno, ma faticano ancor di più per loro stessi, per preparare i pranzi sacri dopo l'ancor più sacra funzione.
Yahn è ateo, ma ancora non ha avuto il coraggio di dirlo ai suoi genitori e ancora si reca alla funzione settimanale, che sia con loro o meno.
Sembra strano, per un membro della Shouye, aver paura di dire una cosa simile, ma la verità è che a volte la donna di casa spaventa persino qualche giovane padrone.
Un altro colpo di accetta, altri pezzi di legna che cadono giù.
Il ragazzo prende altri ciocchi, ne sistema uno sul ceppo e gli altri lì vicino. E' ricoperto di terra, polvere e sudore, un miscuglio poco raffinato e decisamente poco da Xinshou. Se i suoi colleghi illustri lo vedessero ora, probabilmente non lo riconoscerebbero, ma al ragazzo sta bene così.
"Non dovresti fare lavori più fini?"
La voce del padre lo sorprende, è la sua prima frase da quando è tornato, perchè nessun "Bentornato" è uscito dalle labbra dell'uomo.
"Non importa." la sua risposta è sintetica, anche se ci sarebbero fin troppe spiegazioni da dare, fin troppi discorsi che suo padre non capirebbe.
"Mh."
Un altro colpo secco.
Yahn comincia a pensare che la differenza tra il suono di un ciocco diviso a metà e quello di una testa separata di netto dal corpo non sia poi così marcata.
"A tua madre non piace il tuo lavoro." l'annuncio del padre lo sorprende mentre nella sua testa hanno cominciato a sovrapporsi immagini di ceppi tagliati sanguinanti, con facce intagliate raggelate nell'atto di lanciare un urlo agghiacciante.
"E' quello che voglio fare." replica, di nuovo troppo sintentico.
E' un lavoro prestigioso.
Enormemente ben pagato.
Mi permetterà di fare qualcosa di utile, nella mia vita.
E soprattutto mi ha permesso di andarmene da questa landa desolata in cui mi rifiuto di nascere, invecchiare e morire come te, papà.
Nel momento in cui il pensiero più cattivo gli passa per la testa lui serra le labbra e guarda altrove, improvvisamente molto concentrato nella sua mansione di sistemare il prossimo ceppo urlante da tagliare.
"Ti sta cercando moglie."
Questo gli fa alzare il capo.
Suo padre lo guarda dall'alto, attraverso due sopracciglia spesse e ingrigite, con quegli occhi uguali ai suoi. E' preoccupato, confuso, triste: in realtà condivide l'opinione della moglie, ma conosce bene il figlio e sa che è troppo tardi.
"Non posso avere famiglia, papà."
"Lo so."
"Niente moglie, niente figli. E neanche una relazione esclusiva, se mamma se lo stesse chiedendo. Per favore." non si sa per cosa lo stia pregando, ma lo fa ugualmente.
"Le parlerò." decreta l'uomo, scrollando le spalle larghe, prima di caricare l'ennesimo colpo. Ma Yahn sa che non lo farà: per la sua famiglia lui è il primogenito, o almeno lo è diventato dopo la morte di suo fratello maggiore, da qualche parte in una qualche battaglia per gli Indipendentisti. Come se morire per i padroni non fosse già abbastanza.
Come primogenito, Yahn avrebbe dovuto sposare una brava donna, fare tanti figli come sua sorella e tramandare il cognome e l'orgoglio della famiglia.
Ma lui ha pensato che il cognome e l'orgoglio della famiglia non fossero davvero utili, che potessero davvero essere ricordati per qualcosa se lui se ne fosse andato, se avesse preso un'altra strada. Quando ha comunicato la sua decisione di entrare alla Shouye, due anni prima, la sua famiglia anzichè congratularsi ha quasi indossato il lutto.
Sembrava quasi che avesse detto loro che si sarebbe fatto prete: anzi, il paragone è sempre suonato vagamente azzeccato, per Yahn, dal momento che, come un uomo di Chiesa, se n'è andato lontano dalla famiglia a favore di una posizione illustre che nessuno, nessuno al mondo, avrebbe mai potuto negare ad un figlio.
E' stata la nomea della Shouye e il fatto che i suoi membri fosse illustri e rispettabili che ha impedito ai suoi genitori di proibirgli di prendere una decisione simile.
Ci sono state grida da parte del fratello, pianti da parte della madre e della sorella minore e un vago e gelido disappunto da parte di sua sorella maggiore.
"Stai bene, sì?"
Suo padre non è mai stato bravo ad esprimere i suoi sentimenti, caratteristica che anche il figlio pare assumere quando è in sua presenza.
"Sì papà." dopo qualche attimo di silenzio, interrotto solo dal solito calare di accetta, lui si rende conto che forse dovrebbe restituire quella premura, "Voi state bene?"
I suoi occhi vanno a finire inevitabilmente sulle cicatrici del padre, quei segni freschi che avrebbe sperato di non rivedere più sul corpo dell'uomo. Chi potrebbe picchiare una persona di mezza età? A che scopo?
Gli schiavi si abituano alle punizioni corporali quando vedono i loro genitori maltrattati per la prima volta: Yahn si ricorda ancora del bastone che calò sulla schiena del padre, quando aveva cinque anni. Non ricorda chi l'abbia brandito, non ricorda perchè, ma ricorda il colpo, ricorda l'espressione dell'uomo, ricorda sua madre.
E ancora oggi il suo stomaco si contorce nel vedere quei segni.
Il cenno del padre gli fa capire che sì, la famiglia sta bene, anche se per lui "Bene" potrebbe semplicemente voler dire che non ci sono stati morti, menomati, feriti o ammalati. Il minimo indispensabile, ma che da alcune parti di Clackline vuol dire "Stare bene".
"Hai bisogno di soldi?" una domanda sciocca, da fare ad un membro della Shouye, una domanda che fa alzare di nuovo lo sguardo a Yahn per fissarlo sul volto del padre per qualche secondo.
Sa che non sta scherzando e sa che non sta pensando che lui sia tornato solo per chiedere dei soldi, ma lo stesso deve controllare.
"No papà."
"Mh."
Lui prepara l'accetta di nuovo e Yahn sa che la conversazione è finita.
Da dentro casa, arriva ovattata la voce alterata di suo fratello, preso in un'animata discussione contro un padrone, finchè sua madre non si intromette, silenziando tutti, bambini compresi, almeno per un minuto buono.
Quando suonano le campane nella chiesa vicina, il pasto è praticamente pronto e non ci sono più teste da tagliare.

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