martedì 6 maggio 2014

Dormono, dormono sulla collina || Dormono, dormono sulla collina.

Il campetto da pyramid è abbandonato, la sera, troppo centrale per permettere ai drogati o agli ubriachi di passare il resto della notte in compagnia dei loro incubi, troppo periferico per attirare qualche malato di sport. Lui non l'ha scelto per questo, forse un poco di compagnia gli gioverebbe, ma se fosse così sarebbe tornato alla Shouye.
Lì, tra le mura sicure, dove tutto è ovattato, alienato, dove ci si può convincere che il resto del mondo viva così e che le sue ragioni siano le migliori, come sempre. Lì dove si può ignorare che non ci sia un appartamento vuoto, ad attenderlo, vuoto perché ogni persona che potrebbe riempirlo, oltre a lui, si rifiuta di farlo. 
Seduto sul campetto leggermente tiepido, vicino ad una panchina, non prova alcun risentimento per nessuno di loro. Non può offrire nulla se non promesse vuote, nulla che possa davvero interessare: affetto senza amore, denaro senza tenerezza, sicurezza senza confidenza. Il genere di cose che si offre ad una prostituta, non ad una persona cara, non ad un amico. Forse, neanche ad un conoscente.

E' difficile osservare le persone nelle loro scatole.

Il cielo sopra il campetto è spento, di un buio che tende al giallo opaco, senza stelle: gli edifici attorno sono in parte illuminati, le insegne lampeggiano, da lontano arriva il suono di qualche maxi schermo che proietta le ultime notizie. Non gli interessa guardare le persone nelle scatole, vorrebbe schiacciare loro e le loro insulse protezioni di cartone e poi andare avanti, tornare a dormire, magari, come avrebbe già fatto se fosse in grado di distogliere lo sguardo dal cielo sopra di lui.
Ha passato solo un'altra notte insonne in vita sua, senza motivi validi apparenti, nel giardino di casa sua, di casa dei padroni, di casa della sua famiglia. Ormai non sa più quale definizione venga per prima. Allora però, conosceva benissimo il motivo di quell'ansia, dell'angoscia ferrea allo stomaco. Lo ricorda ancora adesso, sentendo qualche schiamazzo lontano e il suono di un clacson, ripetuto.
Ricorda lo spiazzo della vergogna, così si chiamava, con un'accezione più volgare in Escravit che sembrava voler etichettare chiunque ci finisse come un eunuco, un pazzo.
Un criminale.

Sono un criminale perché cerco di vivere.

Ricorda quando ci è finito suo fratello, lì. Lui aveva quindici anni, il maschio più piccolo della famiglia ne aveva di gran lunga di meno, ma era stato bastonato lo stesso. Ricorda di essere corso avanti, senza eroismi, senza coraggio, solo con la quieta disapprovazione di qualsiasi spettatore con indosso un collare d'acciaio. Non erano rimasti quieti a lungo, era bastato che lui si buttasse su suo fratello, che lo coprisse col proprio corpo, che lasciasse cadere su di sé qualche colpo.
C'erano state proteste, insulti scandalizzati, ma nessuno aveva fermato la mano di chi stava continuando a colpire e lui non se lo aspettava.
Ricorda.
Ricorda che è arrivato suo padre, lo ha preso di peso, rigido, vergognoso. Lo ha preso di peso e l'ha portato via. Il bastone non si è fermato neanche allora, colpendo anche l'uomo, di striscio, sul viso.
Lui non se n'è accorto, probabilmente era troppo impegnato a urlare, a guardare suo fratello e a urlare, a chiedere di fermarsi e ad urlare, mentre sfilavano in un corridoio fatto di visi cupi e di sguardi di disgusto.
E' diventato rauco a forza di gridare, ma si è fermato solo a pochi metri da casa, quando ad accoglierlo c'è stata altra disapprovazione.
Avrebbe potuto dire molte cose, imbastire molte difese, ma ricorda di aver pensato il vuoto, di aver provato solo una strana rabbia malata. Ricorda di aver ritrovato la voce e di aver ricominciato a gridare, più forte.
Vi odio.
Vi odio.
Vi odio.

Ma non c'è nessuno da odiare, adesso, solo sé stesso.
Il terreno sotto di lui inizia a diventare freddo, le luci iniziano a spegnersi e il 'Verse intero sembra essersi concentrato particolarmente solo per farlo sentire dannatamente solo.
Forse è davvero molto egocentrico.

Gli hai detto di me e te?

L'angoscia dentro di lui si tramuta in una morsa, la morsa diventa in fretta un fastidioso impulso che sembrerebbe invitarlo a piangere, o a imprecare, o tutte e due le cose. Dovrebbe muoversi, magari prendere un pallone e iniziare a muoversi, a scacciare il freddo e l'immobilità, ma resta fermo, il pallone ruvido sotto le dita intirizzite. Un egocentrico solo può semplicemente sperare di riempire il vuoto con il proprio ego e credere di essere abbastanza forte da sopportare sé stesso.
Non gli ci vuole nessuno psicanalista, questa volta, per capire che non lo sarà mai.


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