venerdì 2 maggio 2014

Ma che la baciai, per Dio, sì lo ricordo, || e il mio cuore le restò sulle labbra

I fogli appesi tremano, visibilmente, in una visione traslucida che non pare del tutto corretta. L’ambiente nel complesso è avvolto da una patina sfumata che si muove e fa muovere ogni singolo oggetto. Vede a scatti, prima troppo chiaro, poi troppo scuro, tanto da fargli strizzare gli occhi come un cieco, senza sapere se davvero vedrà ancora, fino al prossimo lampo di luce.
Ad un certo punto qualcosa si muove sul serio, o forse è finto anche questo, anche la sua mano che si sporge a prendere i capelli neri di una donna. E’ tutto in un frammento di secondo, la pelle candida di lei, le labbra. Quelle labbra sembrano il dettaglio più importante di tutto il quadro, per quello che sospirano, per quello che promettono, per quello che danno. 
Finchè il corpo di lei non gli appare chiaro in tutta la sua interezza e allora le labbra sembrano solo UNO dei dettagli, un piccolo pezzo di un quadro più attraente e terribilmente in movimento. Gli ci vuole un poco per capire il perchè di quel lento sobbalzare. Ha qualcosa di ritmico, qualcosa di incredibilmente naturale, di primitivo, quasi.
Dietro di lei, una foto appesa e collegata da un filo rosso a tante altre sembra cambiare, l’individuo ritratto sembra sorridere.
A quel punto ai suoi sensi arriva il piacere, tutto, ed è come essere investiti da un treno.

Il mondo si offusca di nuovo, ma per un istante diventa dolorosamente chiaro, decisamente limpido. Improvvisamente ha tutto il quadro della situazione, dei respiri, dei gemiti, della pelle contro la pelle e i corpi che si muovono alla ricerca di qualcosa. Non devono essere lì per soldi, lui se lo sente subito: se lo fosse, il piacere sarebbe diverso, se lo fosse, lui non la starebbe stringendo come se si stesse aggrappando ad uno scoglio, come se temesse di vederla scivolare via.
C’è trasporto in quello che fanno e una nota di desiderio disperato che lui non riesce a classificare da nessuna parte. O forse sì, da una parte c’è la stessa cosa, ma i capelli di lei sono mori, non biondi e quella è la sua stanza, la camera raffinata e psichedelica della Shouye, non quella semplice e ancora più psichedelica del suo covo. Soprattutto, qui non c’è amore, non c’è quel terrore che prende l’anima e i muscoli nel porsi la domanda più importante di tutte: Quando finirà tutto questo?

C’è del desiderio, una strana contemplazione forse definibile come rispetto, la frustrazione, la pelle che viene graffiata e la stanza che ondeggia davanti a lui mentre le loro mani e le loro bocche continuano a fare ciò per cui sono stati addestrati molto bene a fare. Non c’è arte in quello che stanno compiendo, però, è tutto troppo carnale e tra di loro non c’è nessuna barriera, niente che li protegga dai respiri rochi l’uno dell’altra, niente che renda meno vivo il dolore dei graffi, niente che attutisca il piacere. Sembra quasi animalesco, al punto che per qualche istante lui ne rimane sconvolto, ma anche terribilmente affascinato. Se non fosse che lei è dannatamente bella, dannatamente elegante, anche in quel momento, direbbe di essersi ubriacato e andato a prostitute.
Ridicolo, non ne ha bisogno.
Forse sì.
Il respiro di lei vicino all’orecchio fa sentire lui come un animale, un animale senza alcun freno e nessun collare, intento a strapparle la pelle di dosso e a prendersi tutto il piacere che è possibile prendere. La reazione di lei è stupefacente quanto chiara: perchè coi gemiti adoranti, arriva la consapevolezza.

E’ tutto un sogno.


Ed è allora che la stanza esplode.

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